220 anni fa moriva Eleonora Pimentel de Fonseca, la donna che morì per la Rivoluzione napoletana, ma con lei morì anche l’ ultimo vescovo di Vico Equense, martiri incompresi a cui stava solo a cuore la libertà del popolo.
La storia della marchesa Eleonora de Fonseca Pimentel trasuda di leggende metropolitane, molte delle quali sorte in seno ad una perversa fantasia borbonica atta a voler distruggere di lei, oltre che la gloriosa impresa storica, l’immagine della donna tanto odiata, non solo per il suo reato di lesa maestà, ma soprattutto perché aveva osato contravvenire con la sua scomoda cultura ai canoni imposti alla sua condizione d’inferiorità femminile: marito, chiesa e sacra famiglia.
Tanto si è detto e scritto al puro scopo di infangarne la memoria, adombrando quanto di glorioso ed immortale Eleonora ci ha lasciato con il sacrificio della sua esistenza.
La storia delle mutande negate è stato l’atto più infame con cui si è cercato di punire l’intellettuale e la donna nella sua intimità più profonda, si separò dal marito con il quale iniziò un processo di separazione, dove le furono negati i suoi diritti economici, ma tutto questo non ci interessa,ci importa ricordarci sempre di lei, nacque a Roma nel 1752, fu una Patriota, politica e giornalista italiana; fu una delle figure più rilevanti della breve esperienza della Repubblica Napoletana del 1799. Nella breve vita della Repubblica la Pimentel si ritagliò uno spazio suo proprio divenendo con il “Monitore napoletano” la più celebre “cronista”.
A Napoli, infatti, come in tutti gli altri Stati italiani liberati dai Francesi subito nacque una nuova stampa politica della quale il Monitore fu l’esemplare più notevole. Del Monitore la Pimentel fu comunque, sin dal primo numero, l’unica protagonista e come tale venne menzionata dalla diaristica napoletana a lei contemporanea.
Sembra, non sapendosi di altri collaboratori, che la Pimentel scrivesse da sé la maggior parte degli articoli, informazioni, precisazioni che il giornale andava pubblicando e che pure direttamente raccogliesse le notizie partecipando alle sedute del governo provvisorio e alle manifestazioni e cerimonie della Repubblica. Dalle colonne del giornale, si misurò con pressoché tutti i problemi cruciali che si posero in quei pochi mesi affrontandoli con stile semplice ed efficace e con notevole indipendenza di pensiero. I rapporti con la Francia, che toccavano il delicatissimo punto dell’autonomia e piena sovranità del governo napoletano, furono trattati con grande cautela; ma il giornale non mancò di segnalare singoli episodi di malcostume d i cui si resero protagonisti militari francesi.
Ma poi arriva quel giorno di Agosto il 20 del 1799, “Alza gli occhi verso il mare, che s’è fatto celeste tenero.
Un piccolo sospiro di rimpianto…”: è così Eleonora Pimentel Fonseca sale al patibolo guardando per l’ultima volta oltre la folla che riempie Piazza Mercato, verso il Vesuvio. O almeno è così che lo scrittore Enzo Striano nel suo libro “Il resto di niente” descrive gli ultimi attimi di vita della giornalista e poetessa portoghese che, in una Napoli borbonica, più di due secoli fa, ha coltivato il sogno della Repubblica, pagandolo con la vita. Inutilmente, la donna aveva chiesto di morire per decapitazione anziché impiccata: la scure era considerata una fine più dignitosa per un nobile, ma ad Eleonora Pimentel Fonseca, straniera, non venne concessa. Morì per ultima, dopo Giuliano Colonna, Gennaro Serra di Cassano e i molti altri rivoluzionari che nel 1799, da Castel Sant’Elmo, avevano proclamato la Repubblica: cinque mesi appena per quel sogno che la nobildonna, di origini portoghesi che morì con lei.
Quel triste giorno, a Piazza Mercato, con Eleonora veniva impiccato anche l’ ultimo Vescovo di Vico Equense Mons. Michele Natale, che aderi’ alla Repubblica Napoletana.
Le pecorelle del suo gregge, purtroppo non compresero gli ideali e le idee di tale rivoluzione e saccheggiarono il Palazzo Vescovile . A tale atto il Vescovo rispose lanciando il ben noto (soprattutto ai vicani) Anatema , in quanto il popolo non aveva compreso ed in piu’ aveva depredato; beni che, sulla scia dei dettami rivoluzionari ,erano di esclusiva proprieta’ dei vicani. Comunemente si ritiene,secondo una leggenda, che la maledizione del vescovo,e sia stata lanciata quando due marinai sorrentini, lo riconobbero e denunciarono a Napoli, mentre si accingeva a scappare travestito da ufficiale francese.
Invece per essere precisi, fu formulata contro una cittadinanza che non aveva capito di essere guidata spiritualmente da un Vescovo che invano cerco’ di trasmetterle gli alti ideali della CONDIVISIONE. A Vico percio’, quando le “ciambelle non riescono col buco” si dice che e’ colpa dell’anatema di Mons. Natale. Una curiosità, in Cattedrale, il medaglione dedicato al vescovo Michele Natale e’ occupato da un angioletto che invita al silenzio su tali avvenimenti, ma anche a stare in ascolto per la verità.
Per non dimenticare…
Mariafrancesca Gargiulo

Giornalista