L’Austria che vince il girone di “ferro” mettendosi alle spalle Francia e Olanda, prima di arrendersi al cospetto di una parata strepitosa del portiere turco Gunok, rimane comunque una delle piacevoli sorprese di Euro2024. Merito specialmente di Ralf Rangnick, per le sue teorie rivoluzionarie, una sorta di visionario della panchina. Già ispiratore dell’avveniristico brand realizzato dalla Red Bull nel calcio. Nonché ideatore del cosiddetto gegenpressing, qualcosa a metà tra un concetto strategico e mera filosofia pedatoria, che impone di occupare disciplinatamente gli spazi, aggredendo al contempo in avanti. Il classico atteggiamento funzionale al recupero immediato del pallone negli attimi successivi all’azione di spossessamento.

In un torneo sempre più caratterizzato da nazionali strutturate in maniera assai fluida, gli eredi del mitico Wunderteam – leggendaria squadra dominante negli anni Trenta, che arrivò quarta ai Mondiali del 1934 e che sfiorò la medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1936 – esprimono un gioco ben organizzato, tatticamente in grado di garantire rapide riaggressioni, costantemente alla ricerca della verticalità. Una intensità che non lascia mai respirare gli avversari, costretti ad adattarsi a un ritmo difficilmente sostenibile per novanta e passa minuti. Così, da forzare facili passaggi e ricezioni elementari. Con la conseguenza che a ogni minimo errore pagano dazio, concedendo un intercetto o un recupero agli austriaci.    

Rangnick visionario

A 65 anni, e dopo la disastrosa esperienza sulla panchina del Manchester United, Rangnick ha trovato una nuova dimensione professionale, che trascende quella di semplice commissario tecnico. Del resto, come fece a suo tempo il co-fondatore della nota bevanda “che mette le ali”, Dietrich Mateschitz, anche la Federazione l’ha assecondato in tutto, fidandosi ciecamente delle sue intuizioni, a tratti davvero geniali.

Scegliendolo, nel 2022, gli ha attribuito pieni poteri. Che spaziano dalle decisioni tecnico-tattiche, alla supervisione dell’intero settore squadre nazionali, consapevole che possa attuare una radicale riforma del calcio austriaco sin dalle giovanili. Dando una identità riconoscibile all’Austria, vicina a quella di un club: chiara allusione al suo passato come principale dirigente e coordinatore delle operazioni alla Red Bull. Insomma, la miglior rappresentazione possibile dell’energy drink in ottica pallonara, con la creazione di un progetto sostenibile sul lungo periodo.

Oggi, dopo un Europeo da rivelazione, non solo ha restituito entusiasmo a un ambiente ingrigito dalla mancata qualificazione ai Mondiali 2022, persi ai playoff contro il Galles. Ma la sua nazionale, completamente in antitesi rispetto allo stile conservatore del suo predecessore, Franco Foda, è una squadra dai princìpi talmente rodati da brillare nel corso della rassegna continentale pur senza alcuni dei suoi pezzi pregiati. Causa infortuni, infatti, erano assenti in Germania il portiere titolare, Alexander Schlager (RB Salisburgo); il perno del centrocampo, Xaver Schlager (RB Lipsia). E soprattutto un Top Player del calibro di David Alaba.

Arnautović spompato

Allora, nonostante le assenze, l’Austria ha sbalordito tifosi e critica per la qualità del gioco espresso per larghi tratti della manifestazione. Mettendo in mostra una notevole compattezza in entrambe le fasi. Il primo comandamento era assicurarsi la densità centrale. Un blocco solido ed equilibrato in mezzo al campo, che determinasse distanze corte, propedeutiche alla riaggressione in caso di palla persa. Oltre a chiudere tutti gli spazi, preservandosi da eventuali imbucate tra le linee.

In questo scenario è salito agli onori della cronaca un difensore centrale forte in marcatura e puntuale nell’anticipo come Kevin Danso, che ha confermato quanto sia promettente, non soltanto in prospettiva. E pensare che senza l’infortunio di Alaba poteva pure diventare null’altro che una opzione nelle gerarchie di Rangnick. Davanti a lui, la coppia composta da Seiwald e Laimer, mediani di grande atletismo. Magari non molto abili nel palleggio. Nondimeno, perfetti per accorciare in avanti, vincere le seconde palle e riciclare il possesso. Piccole cose capaci di fare la differenza. Imprescindibili per andare poi in transizione. Pressing asfissiante, ritmi alti, associati a gamba tonica e fisicità fanno sì che l’Austria risolva un mucchio di situazioni concitate a centrocampo. Portando il pallone sulla trequarti.

Dove l’abilità nei fondamentali di Baumgartner ed i piedi educatissimi di Sabitzer fanno la differenza. Perché, a seconda dei momenti della gara e dell’altezza sul campo della squadra avversaria, leggono dove sia meglio indirizzare il gioco. Ieri, per esempio, nel momento in cui la Turchia ha abbassato notevolmente il baricentro, difendendo strenuamente il vantaggio, hanno sovraccaricato i mezzi spazi, tentando di dialogare nello stretto con Arnautović.  Il 35enne centravanti dell’Inter è l’unica concessione che Rangnick ha fatto al suo calcio, altrimenti ipercinetico e organizzatissimo. Peccato che sia arrivato alla sfida coi turchi atleticamente sfiancato. Demiral l’ha sovrastato, imbrigliandolo letteralmente. Mentre con la sua imprevedibilità l’attaccante di origine serba doveva apportare dosi massicce di qualità tecnica nelle rifiniture. Venire incontro, aprendo varchi per gli inserimenti degli offensive player a sostegno. Invece, Montella ne ha disinnescato gli spostamenti, rendendolo de facto, avulso all’intero match.   

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