L’annata del Napoli rimane mestamente interlocutoria, tra incertezze tecniche e macroscopici errori societari. Per De Laurentiis, questo è il primo vero momento di grande difficoltà. Mai nella sua gestione ventennale, infatti, aveva cannato ogni decisione operativa come nella stagione post scudetto. L’arrivo di Mazzarri non ha determinato nessun miglioramento. Anzi, almeno dal punto di vista della classifica, gli azzurri hanno peggiorato la loro posizione, scivolando al settimo posto, alle porte della zona Europa. Però, quella che conta meno: la Conference League.
A spaventare davvero i tifosi non è tanto la mancanza di continuità nei risultati rispetto a soli pochi mesi fa. Ma soprattutto la sensazione di smarrimento che veicolano i leader del gruppo. Prendiamo ad esempio Kvaratskhelia. La sua centralità nel progetto di Spalletti, quella innata capacità di tirar fuori dal cilindro colpi estemporanei, ed al contempo, condizionare la risalita della palla in costruzione, aveva coinciso con la trionfala cavalcata verso il titolo. Tuttavia, una volta alzata l’asticella delle ambizioni, Khvicha non è ancora riuscito a superare l’ultimo step. Ovvero, passare da giovane di belle speranze, a giocatore dominante su cui riporre le sorti della squadra.
Del talentuoso esterno in rampa di lancio, cui dare la palla per far girare la manovra d’attacco, oggi c’è rimasto ben poco. Si fa notare esclusivamente a causa della pigrizia con cui si intestardisce in improbabili uno contro uno, invece che per la sua intraprendenza nel puntare l’uomo. Padrone assoluto della fascia, nonché idolo incontrastato dei tifosi napoletani, fino a qualche mese fa il georgiano sfoggiava il suo eccellente controllo orientato, preparatorio alla soluzione successiva. Arricchendola con un repertorio di finte, dribbling e sterzate. Oltre a inventare assist geniali per i compagni, immaginando spazi vuoti dove altri vedevano muri.
Alchimia francese mal riuscita
Ovviamente le colpe di una così palese involuzione non sono tutte imputabili a lui. Ha provveduto Garcia a incasinargli la testa con opzioni tatticamente discutibili. Prima che il francese si accomodasse sulla panchina partenopea, Kvara sapeva sempre cosa stesse accadendo alle sue spalle, grazie al modo di partecipare al possesso di Mario Rui. Il terzino portoghese ha avuto un ruolo primario nell’esplosione del numero 77 in maglia azzurra. Leggeva in anticipo la posizione degli avversari e non sbagliava mai la scelta, tra sovrapposizione o sostegno, pronto quindi a ricevere la sponda. Offrendo all’esterno offensivo l’opportunità di aggredire la profondità per allungare la difesa piuttosto che stringere verso il centro.
L’atteggiamento dello “scienziato d’Oltralpe” ha cambiato le carte in tavola: baricentro basso e distanze siderali tra i reparti hanno de facto cancellato uno sbocco verticale, dietro la pressione altrui. A quel punto, Kvaratskhelia si è ritrovato a ricevere di spalle, riciclando il possesso con i movimenti incontro, per sottrarsi alla marcatura. E’ chiaro che avendo chi lo segue come un’ombra, oltre alla linea di bordo campo come naturale delimitazione, per trovare una via di uscita utile, molto spesso porta il pallone dentro al campo, senza apparenti prospettive di uno scarico in sicurezza che possa far scorrere il gioco. L’azione dell’1-0 della Roma nasce proprio da una traccia intercettata da Çelik, che scippa il passaggio e taglia fuori Khvicha.
Sostanzialmente, Garcia ha tentato, fallendo clamorosamente, di trovare una sintesi alchemica tra la voglia di segnare del georgiano e la necessità che partecipasse al gioco, uniformandosi ai compiti che gli chiedeva di interpretare l’allenatore. Che hanno finito per condizionarne il rendimento, conducendolo lontano dalla porta. Ergo, derubricandolo, al momento, in un offensive player esteticamente gradevole e poco altro, in termini di efficienza della giocata ad effetto.
Si potrebbe anche discutere sulla necessità di tutelarlo maggiormente, visto che lo picchiano con cadenza sistematica. E talvolta diventa complicato manipolare il tempo dell’intervento, onde evitare la stecca del difensore. Il fatto che nella sua nazionale sia libero di trovarsi la posizione, agendo da seconda punta in un reparto completato da un centravanti posizionale, potrebbe essere la strategia da percorrere adesso che Osimhen andrà in Coppa d’Africa. Chissà che Mazzarri non ci stia facendo un pensiero.
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