Per il Napoli, la vittoria con il Genoa segna sostanzialmente la fine del campionato. Del resto, una volta raggiunta aritmeticamente la qualificazione alla prossima Champions League, contava solamente arrivare all’ultima giornata senza farsi troppo male. Garantendo, al contempo, un minimo di credibilità alla Serie A. Senza regalare alcunchè alle squadre impegnate nella lotta per non retrocedere.

La gara di ieri, quindi, finisce negli annali esclusivamente per il saluto tributato a Lorenzo Insigne, un piccolo pezzo della Storia contemporanea del calcio partenopeo che taglia i ponti con il suo passato.

Pesa il crollo inaspettato

A questo punto, però, sorge naturale domandarsi in che termini debba essere stimata la stagione degli azzurri. Nonostante i risultati siano comunque lusinghieri, forse non può bastare l’accesso alla Coppa dalle Grandi Orecchie a etichettare il primo anno di Luciano Spalletti all’ombra del Vesuvio del tutto positivo.

Allora il paradosso nasce proprio qui. Nel senso che pesa come un macigno nel computo complessivo il cortocircuito con Fiorentina, Roma ed Empoli. Un sanguinoso momento di sbandamento, capace, tuttavia, di estromettere concretamente il Napoli dalla lotta per il titolo.

Insomma, al di là del gioco proposto in determinati frangenti, qualitativamente superiore alla stragrande maggioranza delle contendenti, qualcuno è portato a valutare interlocutoria la gestione di Spalletti. Una sorta di chiaroscuro, sicuramente influenzato dalla delusione per lo scudetto perso sul filo di lana.

Obiettivi in linea con gli investimenti

Più luci che ombre, dunque. Magari poco in linea con le aspettative dell’ambiente. Eppure coerenti con il valore della rosa ed i reali obiettivi della proprietà.   

D’altronde, è innegabile che quando la scorsa estate De Laurentiis decise di affidarsi al tecnico di Certaldo, mica gli ha costruito poi una corazzata.

Sia ben inteso, il Napoli è tutt’altro che una bagnarola. Nondimeno, l’assoluto immobilismo della direzione sportiva in ben due sessioni consecutive di mercato avrà pure prodotto i suoi effetti sulla classifica dei partenopei.

Ovviamente, l’annata che sta per andare agli archivi, rispetto al recente passato, aggiunge non soltanto il ritorno nell’Europa che conta. Ma una crescita tecnico-tattica esponenziale di alcuni giocatori mortificati, o addirittura dimenticati, durante l’era Gattuso. In primis, Lobotka e Rrahmani. Ormai titolari indiscussi, nonché pietre angolari del progetto futuro.

Senza trascurare una circostanza fondamentale. Nel frattempo è anche cambiato il campionato, con la prepotente rinascita delle milanesi. E nuovi competitors (per esempio, la Fiorentina) si profilano all’orizzonte per i posti che contano. Cambiando radicalmente le prospettive della Serie A che verrà.

Supportare e non mortificare le ambizioni del Napoli

In definitiva, tifosi e addetti ai lavorio, dovrebbero necessariamente attribuire un giudizio positivo a questa stagione. Semprechè, la società voglia considerarla l’anno zero di un nuovo ciclo.

Adesso la palla passa al presidente. Solamente lui può decidere se vuole supportare il grande potenziale offerto all’allenatore, piuttosto che accompagnare il ridimensionamento delle ambizioni della sua “creatura”. Consapevole della incapacità personale di sorreggere i cambiamenti prodotti dalla pandemia sul “Sistema-calcio”.

E’ inutile girare attorno all’argomento, sperando di non suscitare l’ira funesta degli scendiletto patronali. Affinchè il prossimo anno cambi veramente qualcosa, urge rivolgersi al mercato.

Ammesso che le risorse per fare trading arrivino da investimenti strutturali. E non come conseguenza prodotta della dismissione anticipata dei gioielli di famiglia…

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