Era stato tutto facile, troppo facile, sinora, per una città come Napoli essenzialmente tragicomica, abituata ad ottenere ciò che merita passando dalle più svariate tribolazioni. Lo scudetto è cosa azzurra da febbraio o giù di lì, lo era, lo è, tutto cambia, nulla cambia. Balla la data a braccetto con la matematica, ma più che un party, la sfida con la Salernitana ha reso il taglio del nastro tricolore un parto. 

Da un po’ avevamo detto 30 aprile, o 29 per quanto ci raccontava il calendario. Ma ci siamo illusi, o semplicemente sbagliato, o ancora forse il tentativo di forzare il destino non è piaciuto al Dio del calcio, al fato che governa la sfera. Gli organi istituzionali hanno imposto un giorno, l’ultima domenica d’aprile. Hanno apparecchiato la tavola e preteso che fosse servito lo scudetto. La storia non si sottomette, la storia sottomette, ha ingannato fingendo di assecondare. L’antipasto, la vittoria dell’Inter in rimonta sulla Lazio, è stato delizioso, così come sembrava essere il pranzo, un uruguaiano colpo di testa alla Olivera. Poi è arrivato l’amaro, l’ammazza-superbia, un cicchetto di Dia, indigesto.

È stata una beffa, una giornata ingiusta, per i tifosi in estasi, per una città insonne, per il gruppo, per il tecnico. È stato uno scippo. Certo, tutto è solo rimandato, di qualche giorno, o al massimo di una settimana, ma brucia lo stesso. Gli azzurri hanno ora 18 lunghezze di vantaggio sulla Lazio, a sei giornate dalla fine, la Juve vincendo stasera potrebbe portarsi a -17. Dunque si trionferà ad Udine in caso di vittoria, o di pareggio se i bianconeri e i biancocelesti dovessero avere il braccino. Sarà giovedì o domenica, ma lasciamo fare al caso, impariamo la sua lezione. 

La partita è stata quella che è stata, l’ha fatta il Napoli. L’ha fatta di inerzia, di voglia. L’ha fatta con quella che resta e con pazienza. Ha gestito, ha spinto, ha trovato il vantaggio. Poi la tensione è inevitabilmente calata, gli ultimi metri sono sempre i più difficili. La Salernitana l’ha capito, ha sfruttato il momento, e si è rimessa in carreggiata, come giusto che sia. Non ha mollato, ha trovato un pari d’oro, e bello, perché Dia ha fatto un gran gol.  

Il fischio finale è suonato come una sconfitta, come se tutto fosse svanito, come ci si risvegliasse di nuovo a Firenze, in quello stupido albergo. La delusione è stata così tanta, ma la realtà è diversa. È solo l’attesa che si è fatta più pesa. Dicono che l’attesa del piacere è piacere essa stessa. Dicono cavolate, qui l’attesa logora, ma finirà. E che non sia terminata il 30 aprile chissenè. Hammarskjöld, ex segretario delle Sezioni Unite, disse “Non ci è dato di scegliere la cornice del nostro destino, è nostro ciò che ci mettiamo dentro”. Napoli festeggi per quanto sta mettendo, alla cornice ci penserà la sorte. 

https://www.persemprenapoli.it