Quando Thiago Motta è sbarcato sotto la Mole in tanti immaginavano che volesse ricreare alla Juventus il modello proposto dal suo Bologna: una squadra con una chiara identità, dotata di principi riconoscibilissimi. In primis, controllo del pallone, costruzione bassa e pressing. Insomma, una filosofia distante anni luce dalle idee di Max Allegri. Anche se in bianconero ancora non s’è vista la pressione alta e aggressiva che aveva caratterizzato la cavalcata dei felsinei lo scorno anno, culminata con la qualificazione in Champions dopo ben sessant’anni. La Vecchia Signora trova un mucchio di difficoltà nell’organizzazione offensiva, e sviluppa talvolta un gioco prevedibile, con pochi gol all’attivo (34) e molte imprecisioni sotto porta, illuminato solo dal talento dei singoli.
Forse per questo motivo a Torino non stanno forzando il tempo, nonostante in 21 giornate di campionato non abbiano mai perso. Una indicazione statistica precisa: nessuno finora in Serie A è riuscito a battere la Juventus, che però fatica a vincere, avendo vinto solamente 8 partite. Al netto di questi numeri, alla Continassa sono consapevoli che sia giusto assecondare il nuovo progetto affidato all’allenatore brasiliano, piuttosto che alzare subito le pretese. Tuttavia, il match contro il Napoli rappresenta qualcosa di avulso al classico percorso di crescita pluriennale, che presuppone comunque grande pazienza. La rivalità rimane troppo accesa, con radici talmente salde nella storia dei due club, da risultare immune dal posto occupato in classifica in quel momento.
Napoli, calcio fluido
Partendo dal presupposto che entrambi i tecnici schierano (formalmente…) il 4-3-3, è l’interpretazione che danno al loro calcio a definirne la fluidità, con giocatori che ruotano continuamente, scambiandosi le funzioni. Per esempio, quando imposta, l’atteggiamento del Napoli è quello di muovere internamente Di Lorenzo e Olivera, così da creare linee di passaggio non ordinarie. Cioè, non destinate esclusivamente ad esplorare l’ampiezza. Bensì a destrutturare le difese avversarie scaglionandosi dentro al campo. In pratica, la disposizione prevede un terzino assai aperto in fascia e l’altro che stringe. Lo stesso fanno gli esterni offensivi. Con la conseguenza pratica di occupare ciascuno dei corridoi verticali, grazie a McTominay e Anguissa, che saturano le zone intermedie. Mentre la manovra è affidata a Lobotka, volutamente portato ad abbassarsi in mezzo ai due centrali.
A completare un gruppo solido ed equilibrato, all’ombra del Vesuvio hanno costruito una squadra che basa le sue fortune sulla organizzatissima fase difensiva, orientata a prevenire i rischi, ed al contempo controllare efficacemente gli spazi. Nondimeno, Conte non disdegna di modulare l’altezza cui stabilisce il baricentro, scegliendo se attestarsi nella propria trequarti, invece di spostarsi trenta metri in avanti a seconda delle caratteristiche degli avversari o delle situazioni contingenti. In questo scenario, lecito domandarsi come si inserisce Neres. Con la sua sfacciataggine è diventato un tassello imprescindibile del Napoli. Perché al dominio dei fondamentali – controllo orientato del pallone a innescare le accelerazioni in progressione, tra finte e sterzate – lavora per isolarsi nell’uno vs uno proponendo giocate viste mille volte da quando ha ereditato ruolo e titolarità da Kvaratskhelia.
Juve, gioco posizionale
Dal canto suo, Thiago Motta preferisce avere un approccio maggiormente posizionale, diminuendo la quantità dei giocatosi sopra la linea della palla. Non rinunciando ovviamente alla qualità dei “piedi buoni”: Yildiz e Conceição sono offensive player autosufficienti, in grado quindi di mettersi in proprio, isolandosi e fornendo imprevedibilità, improvvisando dribbling e sterzate. Ma mettono sempre i piedi sulla linea, affinché la Juve possa fissare l’ampiezza, attirando la pressione dei terzini avversari, approfittando poi degli spazi in transizione. Perciò, anziché attaccare rapidamente, il possesso ha una vena conservativa, e rimane stabilmente orientato al palleggio. Del resto, se hai due interni di centrocampo dall’indole associativa (Koopmeiners sul centro-destra e Khéphren Thuram sul centro-sinistra), preferisci dar loro l’opportunità di palleggiare. E magari assorbire gli inserimenti delle mezzali altrui.
A proposito di rotazioni e inserimenti negli “half spaces”: Savona e Cambiaso, presumibilmente opposti a Neres e Politano, marcano a uomo nel frattempo che Kalulu e Gatti si alterneranno su Lukaku, all’interno di un contesto tattico dove a turno rompono l’allineamento, per andare a prendere Big Rom fuori zona centrale. Un discorso a parte merita Dusan Vlahovic. Sembra che per scelte tecniche stia finendo ai margini del progetto di Thiago Motta. Non a caso, dal mercato è arrivato (in prestito) Kolo Muani. Già sabato pomeriggio, al “Maradona” dovrebbe essere il francese ad attaccare la profondità o fare da raccordo coi centrocampisti.
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