Il calcio è fatto di cicli: quello del Napoli dominante dura un battito di ciglia. Giusto lo spazio di un biennio bello ed entusiasmante, che culmina nella conquista di uno scudetto per certi versi storico. Là finisce l’utopia azzurra.

Piaccia o meno, la proprietà ha deciso di chiudere con il recente passato, dando vita ad un nuovo progetto tecnico. Come tutti i nuovi inizi, bisogna avere pazienza. Nonché lucidità nei giudizi, specialmente nella fase embrionale. Una oggettività che ovviamente manca ai tifosi. Ma al contrario, dovrebbe caratterizzare media e addetti ai lavori.    

Invece, l’errore più grande fatto dopo l’abbuffata di lodi sperticate, associate a festeggiamenti doverosi, è stato quello di veicolare nell’ambiente partenopeo l’idea che si potesse finalmente aprire un ciclo vincente e duraturo. Generando un’aspettativa per certi versi irreale. Ovvero, che a prescindere dal pilota, la macchina potesse andare per inerzia, gestita da chiunque si fosse accomodato al posto di guida.

Stimoli e aspettative

Così, i denigratori in servizio permanente effettivo di De Laurentiis approfittano della situazione per imputargli la scelta Garcia: “Questo è un altro capolavoro tuo, il più riuscito…” sostengono gli odiatori seriali del presidente. Probabilmente, il delirio di onnipotenza gli ha fatto credere di poter essere infallibile.   

Trascurando un piccolo particolare. Al netto di qualsivoglia chiacchiera da bar, è innegabile che la stagione scorsa il rendimento di alcuni giocatori si sia spinto oltre la più rosea delle aspettative: fantasioso, dunque, pensare che potessero ripetersi facilmente, considerando anche una legittima sindrome da pancia piena, quasi fisiologica dopo una lunga cavalcata trionfale.

Occorreva rinnovare gli stimoli. E quale migliore occasione di cambiare “manico”. Affidandosi a un allenatore voglioso di imporsi, apportando sostanziali modifiche a livello tecnico-tattico.

L’onere della scelta

In questo scenario va riconosciuto al francese notevole coraggio nel raccogliere un’eredità pesantissima, consapevole che alle prime nuvole tempestosa si sarebbe innescato lo scomodo paragone con Spalletti. Detto questo, però, ignorare che la barca stia imboccando una rotta sbagliata, incapace di portare il gruppo in acque tranquille, sembra palese.  

In ogni caso, una cosa appare chiarissima: i giocatori faticano a digerire le idee ed i principi di Garcia. La prossemica – cioè, i loro atteggiamenti e gesti in campo – non mente. Inesorabile quindi sospettarne un evidente rigetto.   

Insomma, la patata bollente passa necessariamente nelle mani della società. Le alternative plausibili sono solamente due. Mettere al centro del progetto il nuovo tecnico, difendendolo a spada tratta, senza sé e senza ma. Assumendosi pure l’onere e la responsabilità della scelta estiva. Innanzitutto, nello spogliatoio, con i leader della squadra.

Altrimenti, accettare di aver fallito miseramente nella strategia, e porvi drasticamente rimedio. Esporre Garcia alla gogna mediatica ed al perculamento quotidiano sui social ne mina la credibilità. Oltre ad essere profondamente ingiusto nei confronti di un professionista.  

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