Le parole di Ivan Rizzardi denotano la pacata discrezione di chi sa stare in mezzo alla gente, senza voler necessariamente apparire. Cittadino della Leonessa, si sposta dalla natia Brescia alla vicina Cremona, per un’esperienza formativa nel settore giovanile dei grigiorossi, che ne segnerà profondamente il sostrato calcistico.

Poi è venuto il Napoli. Che ha lasciato tracce indelebili. Di quell’anno all’ombra del Vesuvio, Rizzardi conserva un ricordo meraviglioso.

Al di là degli aspetti legati al calcio, ho avuto l’opportunità di conoscere delle persone fantastiche sul piano umano. Giocare al San Paolo, sempre pieno, assieme a grandi campioni, per un ragazzo come me, che veniva da una realtà di provincia, era come vivere un sogno. Certe volte tornavo a casa con il mal di testa, per il tifo: cantavano e sostenevano la squadra ininterrottamente. Anche molto prima che iniziasse la partita!”.

Il valore aggiunto di quella squadra

Ovviamente, le aspettative iniziali sono tutte legata a Diego Armando Maradona. Ma non soltanto a lui. Tuttavia, all’argentino bisogna tornare per capire il legame che c’era in quello spogliatoio.

Era un gruppo di persone serie, vogliose di condividere momenti assieme fuori dal campo. Si parla tanto delle uscite serali di Maradona. Ma Diego amava riunirsi con i suoi compagni. Indimenticabili le cene a casa di Corradini, oppure da Ferrara. Con Pino Daniele che suonava la chitarra…”.  

La forza del gruppo, dunque, come valore aggiunto della squadra nella stagione 1990-91. L’ultima de El Diez nella città che l’ha eletto a suo idolo pagano. E che ha deciso di rinnovare l’amore rendendolo eterno. Con un gesto che trascende un mero atto burocratico.

Intitolare lo stadio a Diego è un atto di grande riconoscenza. Era il minimo che potessero fare per quello che ha rappresentato. In memoria del più grande di sempre. Fare polemiche dopo la sua morte significa voler cercare il pelo nell’uovo!”.  

In effetti, dimenticare è qualcosa che non si può fare. Ripercorrere le tappe di quell’anno talmente particolare da sconfinare nel retorico non può limitarsi ad un mero esercizio di nostalgia letteraria.

Che serata con la Juve

Ivan arriva a Napoli nell’estate del ’90. E ci vorrebbe un romanzo per spiegare quell’annata.

La prima partita ufficiale, infatti, mette in palio la Supercoppa Italiana. Al San Paolo è di scena la Juventus, detentrice della Coppa Italia.

Sulla panchina della Vecchia Signora s’è accomodato Gigi Maifredi, esponente di un sistema tattico tutt’altro che tradizionale. La “rivoluzione culturale” bianconera si orienta verso la nouvelle vague, sulla falsariga del Milan di Sacchi.

Il debutto stagionale degli azzurri con lo Scudetto cucito sulle maglie rispetta il copione. I Campioni d’Italia mantengono le promesse e sovrastano letteralmente la Juve.

Il 5-1 diventa il manifesto dell’incompiutezza. Ciò che poteva essere e non è stato, per entrambe. Che passeranno dall’euforia alla depressione nel giro di pochi mesi.

Quel primo settembre sembra la classica gara folle, in cui a dominare sono l’irripetibilità di certe situazioni. I meccanismi della zona sono un arcano lontano da svelare. Così, Silenzi e Careca imperversano negli spazi. Con Tacconi che davvero fatica a giocare alto, lontano dalla porta, per accorciare la linea difensiva.

Con Bonetti e Maifredi ci frequentiamo, vista la vicinanza. Gli ricordo che quella sera non l’anno mai beccata. Il mister si giustifica, risponde che loro erano una squadra tutta nuova, con la necessità di lavorare tanto per acquisire i nuovi automatismi. Li zittisco: ‘avete preso cinque sberle’…”.      

Visto l’esordio poteva essere una stagione assai gratificante. Rimane, invero, un meraviglioso rimpianto.

Il gol all’Olimpico corona un sogno

Rizzardi ha l’aria del ragioniere serioso al quale sarebbe lecito affidare la chiusura del Bilancio d’Esercizio. Ma è soltanto apparenza. In campo non passa inosservato.

Gioca terzino: un sinistro educato, che abbina quantità a qualità. Ruba il pallone e parte lancia in resta. Scatto bruciante per sovrapporsi. Eppure, se nasce l’esigenza, è capace pure di pigliare bellamente a calci il diretto avversario. Oppure di segnare.

Una circostanza insolita per Ivan. Evidenziata dal fatto che il teatro dove tira fuori la grande prestazione è l’Olimpico, contro la Roma. La sblocca Amedeo Carboni. A dieci minuti dalla fine, basta una mattonella in piena area di rigore, per determinare il primo ed unico gol in Serie A di Rizzardi.

Punizione dalla trequarti, palla calciata in the box, sponda di Andrea Silenzi, funzionale a spalancare la strada verso Cervone.

A quel punto sarebbe stato delittuoso farsi pregare per buttarla dentro.

Quello è un ricordo indelebile. Una grandissima soddisfazione. La ciliegina sulla torta di una esperienza meravigliosa. Segnare in quello stadio con il tricolore sul petto. Ripensi a quando hai cominciato da bambino. E realizzi i tuoi sogni…”.

Il Napoli chiude il girone d’andata con la miseria di 15 punti.

Le aspettative erano altissime. Maradona veniva da un 2° posto ai Mondiali, con le polemiche che ne conseguirono. Credo che Diego fosse stanco mentalmente. Si sentiva attaccato ingiustamente da una certa stampa. Pensava che gli volessero far pagare gli anni precedenti. Forse, ma è una mia sensazione, aveva chiesto di poter cambiare aria. Non per trovare altri stimoli. Ma alla ricerca di una nuova serenità. La mancanza di risultati ha acuito un pò tutto…”.

A peggiorare una situazione decisamente esacerbata concorsero le dimissioni a dicembre di Luciano Moggi.

Lui era la società. Ferlaino l’avrò visto tre volte in tutto l’anno. Forse, seppur inconsapevolmente, nel gruppo si ebbe la sensazione che ci fosse una sorta di cambio generazionale. Non che le ambizioni future venissero ridimensionate. Piuttosto, una voglia di ripartire con un nuovo progetto.”.

Inimmaginabile che le criticità di quell’inverno fossero legate esclusivamente agli accadimenti ristretti al rettangolo di gioco. Ci sono momenti, d’altronde, in cui gli aspetti negativi trovano il loro ordine naturale, incastrandosi nel più ampio disegno delle cose.

Bari, l’antidoping e Zola

Al termine della partita casalinga con il Bari, Maradona risulta positivo ad un controllo antidoping.

Senza il capitano, la squadra è costretta a reinventarsi dal punto di vista tecnico-tattico. Il gruppo storico, compattatosi maggiormente attorno a Gianfranco Zola, non perde fino alla fine del campionato. Infila una striscia di otto risultati utili consecutivi, chiude al settimo posto e manca la qualificazione alla Coppa Uefa per un punticino.   

Oggi quella squadra vincerebbe ad occhi chiusi. Aveva una qualità complessiva importante, e poteva giocarsela con chiunque. All’epoca c’erano un mucchio di squadre attrezzate, con rose fortissime. Era una Serie A molto equilibrata. Non c’era la classica ammazzacampionato, come la Juventus degli ultimi anni!”.   

Ecco, sono un pò di anni che tifosi e addetti ai lavori si sono assuefatti ad un campionato a senso unico. Quest’anno, tuttavia, sta dimostrando che il vento potrebbe girare in un’altra direzione.

In quest’ottica orientata ad una maggiore uguaglianza competitiva, rientra lo stesso Napoli.

Bisogna avere equilibrio quando si emettono certi giudizi. Le critiche al Napoli di Gattuso sono abbastanza pretestuose. A prescindere dal risultato di ieri. Innanzitutto, non si considera il fatto che se avessero giocato a Torino, e strappato un risultato favorevole, a questo punto staremmo parlando di una legittima candidata alla vittoria dello Scudetto…”.   

Rizzardi resta convinto della bontà di questo progetto, al netto di qualche passaggio a vuoto. Continuare a percorrere la strada tracciata da Gattuso. Insistere sulla qualità. Aggiungendo un pizzico di cinismo al gioco.

Se vuoi vincere devi lasciar perdere un po’ l’estetica. A memoria, ultimamente, solo Barcellona, Manchester City e Liverpool, l’hanno fatto senza dover trascurare la bellezza. Attualmente in A ci sono grandi giocatori. Ma una volta i difensori erano allucinanti, non ti facevano toccare la palla. Solo pensare di fare certe giocate era inimmaginabile, ti avrebbero menato. Altro che 25/30 gol a campionato. Già superare la doppia cifra era difficilissimo…”.

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