Per l’ennesima volta nella sua storia recente, l’Italia delude le aspettative di tifosi e media. Alla Nazionale continua a mancare sempre qualcosa, se deve superare i momenti di difficoltà nei grandi tornei. Considerando anche le volte che addirittura manca clamorosamente la qualificazione, viene perciò da chiedersi quale sia il reale valore del calcio italiano. E soprattutto, cosa dovremo aspettarci di diverso da Luciano Spalletti, rispetto ai fallimenti in serie delle precedenti gestioni tecniche. Appare evidente che la memorabile vittoria di Wembley nel 2021 sia stata frutto del caso. Una perfetta congiunzione astrale, capace di occultare i problemi atavici e strutturali dell’italico pallone.

Ovviamente, la preoccupazione non è legata solamente ai risultati modesti maturati in Germania. Bensì alla mediocre proposta di gioco degli Azzurri. In evidente stato confusionale, spenti e privi di idee. Un po’ come il loro commissario tecnico. Per com’è maturata l’eliminazione per mano della Svizzera, era giusto uscire agli ottavi. E’ pur vero che di errori marchiani il c.t. ne abbia commessi parecchi, dalle convocazioni alle scelte tattiche. Assai negativo, insomma, il giudizio complessivo sul lavoro dell’Uomo di Certaldo. Molti i dubbi riguardo il suo operato, che non ne mettono in discussione il mandato, funzionale a strappare il pass per il Mondiale in Nordamerica. Nondimeno, alimentano una strisciante sensazione di pressappochismo, specialmente sul piano dei diversi moduli utilizzati.    

Fluidità ed errori marchiani

Il tanto reclamizzato sistema fluido, con difesa a quattro che diventava poi a 3+2 in fase di costruzione, puntando sul dinamismo di Dimarco, deputato ad alzarsi in fascia per garantire l’ampiezza, aveva contribuito a determinare la rimonta sull’Albania. Peccato che la scoppola subita dalla Spagna abbia mandato totalmente in confusione Spalletti. Da lì in avanti forse sceso a troppi compromessi con i suoi princìpi. Lui che sostanzialmente rimane un allenatore che cerca di dominare l’avversario attraverso il possesso intenso e qualitativo, s’è convertito al controllo degli spazi. Una necessità strettamente connessa alla fluidità su cui ha impostato la squadra.   

A questo si aggiunge la sterilità all’atto di finalizzare la manovra, che si è ridotta a isolare Chiesa in situazione di uno contro uno, o stimolare Scamacca con la palla lunga. Insomma, come il centravanti dell’Atalanta ha dimostrato di avere ancora un mucchio di limiti, prima di poter ascendere al ruolo di titolare in una nazionale ambiziosa, così l’Italia ha palesato una disarmante sterilità negli ultimi sedici metri. Pure a livello di cura nei fondamentali, nel fare ad esempio le sponde, l’attaccante della Dea ha lasciato a desiderare. Dimostrando una carenza nell’associarsi coi compagni imperdonabile per chi ha velleità di essere protagonista. E non mero comprimario.  

Sulla gestione delle risorse a sua disposizione, meglio stendere un velo di pietoso mutismo. Tornare sui motivi che hanno spinto alla convocazione di Fagioli, equivarrebbe a sparare sulla Croce Rossa. Sicuramente Jorginho ha imboccato il viale del tramonto; d’altronde non ha mai fatto del dinamismo la sua principale arma. Difficile tentare di capire perché concedere minutaggio allo juventino, invece di insistere con maggiore convinzione sul doppio pivote. Magari dando fiducia a Cristante in coppia proprio con l’italo-brasiliano. Orbene, cadenzato e monocorde il passo di entrambi. Però avrebbero legato il gioco in maniera più efficace.

Fenomeno Donnarumma

Discorsi simile potrebbero essere fatti per Folorunsho, decisamente a suo agio nell’aggredire la profondità, muovendosi sulla trequarti altrui o partendo dallo slot di mezzala tradizionale. Mentre Frattesi ha denotato una certa idiosincrasia a inserirsi alle spalle dei centrocampisti avversari. Un compito che nell’Inter è Barella a svolgere in modo egregio. Ma Spalletti ha preferito affiancarlo a Jorginho, con compiti di aiuto regista. Vero è che il c.t. non ha avuto il tempo per fare esperimenti. Ma non lascia un buon ricordo la scellerata decisione di estromettere dai convocati un esterno offensivo mancino. Mancando tempo e spazio per dialogare sul breve, si poteva esplorare la profondità, immaginando di invertire gli offensive player, schierandoli piede opposto, con Chiesa a sinistra e Orsolini o Politano a destra.

A questo punto, lecito domandarsi adesso da dove ripartirà l’Italia di Spalletti. Attualmente abbiamo un unico fenomeno: Gigio Donnarumma. Per il resto, la Serie A offre veramente poco. Ormai è una sorta di cimitero degli elefanti. Il talento scarseggia. Ergo, giocatorini e “mezzi calciatori”, con la complicità di procuratori compiacenti e direttori collusi, drenano risorse economiche, per alimentare i loro pantagruelici stipendi d’oro. Tuttavia, è un castello di sabbia destinato a crollare al primo alito di vento. Cosa appena successa agli Europei. Il “sistema-calcio” è un malato terminale. Che anziché tentare una cura per guarire, si trascina stancamente, continuando a muovere interessi economici giganteschi. In questo scenario, sguazzano le lobby legate alla Politica ed al Capitale (rigorosamente con la maiuscola…). In effetti, se il presidente della Federazione rimane saldamente ancorato alla poltrona, nonostante la sua amministrazione sia caratterizzata da fallimenti costanti, ed il Coni preferisce astenersi dall’intervenire, qualche domanda dovremmo porcela.        

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