Al netto dei ritardi sul mercato, che al momento stenta a decollare, il deludente esordio col Verona ha dimostrato quanto siano ancora tanti i problemi del Napoli. Antonio Conte, dunque, deve risolversi quanto prima se davvero vuole far tornare gli azzurri ad essere immediatamente competitivi in ottica alta classifica. L’approccio al secondo tempo del Bentegodi, decisamente inaccettabile per una squadra con un briciolo di orgoglio, è sintomatico di un malessere emotivo che questo gruppo si trascina dietro dallo scorso anno, forse ancora non metabolizzato del tutto. Urge dunque lasciarsi alle spalle i problemi antichi. Ripartendo magari da quel poco di buono che s’è intravisto all’esordio in campionato.

Prima che il Napoli si sciogliesse come neve al sole contro i gialloblù di Paolo Zanetti, infatti, qualcosa di interessante aveva fatto timidamente capolino. In particolare, Giovanni Di Lorenzo, schierato nell’insolita posizione di “braccetto” destro, ha evidenziato come possa trasformarsi in un valore aggiunto all’interno di una manovra che fatica a decollare, appena gli avversari raddoppiano sistematicamente Politano e Kvaratskhelia.

Perché se quelli che già criticano aspramente l’allenatore salentino, tra media e opinionisti, avessero un briciolo di onestà intellettuale, nell’analizzare il match di domenica, dovrebbero sottolineare l’atteggiamento dei padroni di casa. Che si sono messi a specchio, cioè col 3-4-2-1, solo nominalmente. In realtà, il Verona aveva consapevolmente scelto di difendersi con un abbottonatissimo 5-4-1. Scenario tattico ideale per tenere i reparti talmente stretti e corti, che l’unica possibilità di creare spazio era demandata agli inserimenti del capitano.         

Aggredire lo spazio interno

Se l’arrivo di Conte in panchina ha cambiato le attribuzioni difensive svolte da Di Lorenzo – il braccetto nella linea a tre occupa una porzione di campo più ampia rispetto al sistema tradizionale, con centrali e terzini che coprono zone di pari ampiezza -, non ne ha affatto inibito i movimenti in avanti nella fase di possesso. Consentendogli comunque una notevole libertà di partecipare in modo assai proattivo al gioco. Quindi non soltanto con funzione di appoggio nella costruzione bassa. Ma specialmente per consolidare l’azione d’attacco, lavorando a sostegno di centrocampisti e offensive players.    

Palese l’intenzione di Conte: superare la densità predisposta dal Verona, dilatando le distanze grazie alle relazioni in catena costruite sulla destra, invadendo gli half spaces con l’asse Di Lorenzo, Mazzocchi. E Politano a fare da “terzo uomo”, necessario per progredire, ricevendo l’imbucata. E’ chiaro che poi uno sviluppo efficace necessiti di connessioni qualitative. In tal senso, al laterale originario di Barra non manca la feroce applicazione nell’assolvere i compiti assegnati. Peccato che difetti terribilmente nei fondamentali tecnici, e non ha alcuna attitudine all’uno contro uno. Una diminutio che non gli ha consentito di adattarsi perfettamente alla situazione. Finendo ingabbiato nella marcatura di Frese, aiutato anche dai raddoppi di Duda e dai ripiegamenti sottopalla di Lazovic.

Una soluzione ricorrente nel primo tempo è stata l’iniziativa di Di Lorenzo che scaricava il pallone. Ergo, si buttava dentro, attaccando proprio lo spazio interno tra Duda e Serdar (e dopo, Belahyane). Tentando così di destabilizzare la coppia di centrocampisti veronesi, obbligati ad assorbirne l’inserimento in profondità. Esempio piuttosto esplicativo di come Conte pretenda dal braccetto che interpreti il ruolo in chiave propositiva. Alla stregua di un vero chiavistello per aprire l’organizzazione difensiva avversaria nell’ultimo terzo di campo.      

Sovrapporsi come da tradizione

Ovviamente, non sono mancate le classiche letture. Effettivamente, sono proverbiali le capacità di Di Lorenzo nel generare condizioni vantaggiose per il Napoli in virtù della tradizionale sovrapposizione. Del resto, gli azzurri sono strutturati in modo tale da stimolare tali giocate. Nonostante il Verona si difendesse benissimo, non sono mancati i “fuori e dentro” tra il capitano e Mazzocchi.

Sostanzialmente, a turno, uno si smarcava in ampiezza, stringendo nel settore centrale una volta ricevuto il passaggio. A quel punto, si svuotava il binario laterale, adibiti all’attacco della profondità, favorendo la corsa in sovrapposizione del compagno. Piccolo particolare tutt’altro che trascurabile: col taglio di Kvara dalla fascia opposta, gli azzurri avevano tentato di creare superiorità numerica alle spalle della mediana gialloblù. Una situazione smarrita con l’uscita del georgiano, visto che Raspadori preferiva abbassarsi per cucire il gioco, invece di muoversi tra le linee alle spalle di Simeone.

Insomma, il Napoli non sa segnare, però è sotto gli occhi di tutti che la fase propositiva sviluppata da Di Lorenzo non si è inceppata. Anzi, ha dato le risposte sperate da Conte.

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