A Napoli aleggiano i fantasmi di una squadra che fino a qualche mese fa dispensava calcio. E invece adesso sembra in totale confusione. Con un allenatore senza idee ed un gruppo abulico, quasi impotente al cospetto degli eventi, che s’è sciolta come neve al sole alle prime difficoltà. Una squadra incapace di reagire positivamente alla nuova impostazione tattica azzardata da Rudi Garcia, innamorato delle sue idee. Intransigente – seppur in totale in buona fede – nel tentativo di imporle allo spogliatoio. Che forse, proprio per questo, sta accumulando una certa dose di scontentezza.
Nondimeno, sicuramente corresponsabile della mancanza di voglia e determinazione palesate nel secondo tempo della gara con la Lazio e per almeno un’ora abbondante contro il Genoa. Che dovrebbe quindi condividere con il francese un minimo di autocritica, condividendone in parte gli appunti mossi da tifosi e addetti ai lavori.
Il nuovo tecnico degli azzurri è un uomo di calcio, oltre che di campo. Dunque dotato di una buona dose di intelligenza e pragmatismo. Che dovrebbe suggerirgli un approccio diverso al problema. Oppure addirittura imboccare la via del ripensamento.
Un fantasma aleggia sul Napoli
Al netto di un dilagante disfattismo nell’ambiente, inutile e deleterio, c’è ancora tempo per rimediare. Ma non troppo. Perché, i cambiamenti vanno poi metabolizzati. E ci vuole tempo per recuperare l’identità smarrita, che però manca clamorosamente, in quanto la stagione corre veloce e brucia protagonisti e comprimari.
Essere freneticamente precipitosi e cavalcare l’onda del malcontento strisciante, avallando a spada tratta il GarciaOut che sta spopolando in rete, non è costruttivo. Al contempo, negare la realtà, sostenendo che vada tutto bene, che il Napoli è “solo” un cantiere aperto e si riprenderà, neanche pare accettabile.
Bisogna riconoscere a Garcia la giusta dose di attributi nell’aver accettato l’eredità di Luciano Spalletti, consapevole che il fantasma dell’Uomo di Certaldo aleggiava sul “Maradona” e Castelvolturno come una figura assai ingombrante, da rispolverare con dolorosa malinconia al compimento del primo passo falso.
Gli stessi calciatori veicolano con il loro atteggiamento svogliato la sgradevole sensazione di non aver affatto digerito il distacco da chi li ha guidati con sapienza strategica e sagacia nelle letture alla conquista dello Scudetto. Da qui, un Napoli pesantemente involuto nella stragrande maggioranza dei suoi interpreti chiave.
Giustificazioni fuori luogo
In questo scenario da tragedia greca si inseriscono le dichiarazioni di Garcia nel post gara di Marassi. Fanno gelare il sangue nelle vene i motivi a parziale giustificazioni del pareggio coi rossoblù.
Asserire che sia sostanzialmente complicato mantenere la concentrazione sul campionato prima di un impegno in Champions sa tanto di paraculata. Chi non è in grado di sostenere il doppio impegno, accusando l’infrasettimanale europeo di sottrarre energie fisiche e nervose magari deve derubricare le proprie ambizioni professionali. E scegliersi un contesto più a misura d’uomo, tipo la Saudi Pro League.
Di evidente arrampicata sugli specchi anche le parole sulla scelta di buttare dentro Zerbin per Kvaratskhelia nei minuti dell’arrembaggio finale. L’espressione del georgiano tradisce incredulità. La stessa suscitata dal tecnico francese, che inserendo il giovane esterno ha voluto mandare un messaggio trasversale a “chi si allena bene…”. Allarmante immaginare che le dinamiche che sottendono le sostituzioni siano le medesime della Scuola Calcio, dove bisogna accontentare un po’ tutti, compresi i genitori rompiscatole.
Insomma, la toppa è stata più grande del buco. Esempio perfetto di come non vada gestita una conferenza stampa.
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