Il silenzio stampa della Società Sportiva Calcio Napoli è un concetto filosofico molto particolare (e pieno di spifferi). Nell’attesa della sua revoca, il presidente Aurelio De Laurentiis ha rilasciato una lunga intervista (stile monologo in atto unico), dove ha parlato un po’ di tutto, passando da un argomento all’altro, aprendo molte parentesi (non tutte sono state chiuse). Un vulcano di idee (e critiche) che non sempre è facile arginare. Non ho assolutamente la presunzione di volermi accostare alle sue illuminanti proposte, come il grattacielo da mille metri fronte mare sul golfo di Sorrento, molto umilmente avanzo qualche suggerimento – economicamente sostenibile – per la crescita societaria.

Stadio, l’onda azzurra

Aurelio De Laurentis non ha mai amato lo stadio San Paolo, non ne ha mai fatto mistero. Ometto di ricordare come il presidente ha spesso nominato il catino di fuorigrotta. Dopo l’intervento della Regione Campania, che in occasione delle XXX Universiadi ha investito 25 milioni di euro per un corposo restyling, l’impianto si presenta totalmente rimesso a nuovo, almeno nei settori interni (l’eterno e la copertura meriterebbero un intervento impegnativo, purtroppo l’eleganti linee architettoniche disegnate da Carlo Cocchia sono state martoriate dalla ristrutturazione avvenuta in occasione dei Mondiali del ’90).

Uno degli argomenti di maggiore discussione fu la scelta del colore dei nuovi seggiolini. I tifosi spingevano per l’azzurro, soluzione logica ed elegante. Purtroppo, per non scontentare il presidente, alla fine si è inciampati in un compromesso stile arlecchino, in particolare nell’anello inferiore. La ragione: limitare nelle riprese televisive l’effetto stadio vuoto. Con tutto il rispetto per le tv, questa decisione mi sembra figlia di una filosofia arrendevole, da sconfitti in partenza. Senza rievocare il passato e i tanti pienoni del San Paolo (anche in partite “anonime”), sarebbe più utile riempirlo lo stadio (anello inferiore compreso) e non mettere seggiolini bianchi, gialli, grigi per ingannare l’occhio della telecamera.

A tal proposito, avanzo delle proposte: differenziare i prezzi tra anelli (superiore e inferiore), come avviene in tanti stadi. Creare una sorta di settore family allargato con offerte ad hoc (tipo 24 euro padre e figli). Sottoscrivere delle convenzioni speciali con le tante scuole calcio della provincia. Sarebbe bellissimo avere un settore popolato da ragazze e ragazzi accompagnati da educatori. A parità di incasso avremmo uno stadio pieno, si crescerebbe una nuova generazione di tifosi che, durante gli incontri casalinghi, darebbero maggiore sostegno agli Azzurri.

Dimenticavo: le tv non sarebbero penalizzate nelle loro riprese. Chiaramente, tutto questo covid-19 permettendo.

Magliette, distribuzione da potenziare

Una volta il mio maestro sommelier mi disse: “Guido puoi fare il vino più buono del mondo, ma se lo bevi solo tuo con qualche amico serve a poco.” Nella realizzazione delle magliette ben venga la collaborazione con stilisti famosi (ultimamente si è parlato di Giorgio Armani, genio assoluto della moda), ma alla fine quello che conta realmente è la distribuzione su larga scala.

Le grandi squadre sono legate ai grandi marchi che possono sfruttare le economie di scala. Una produzione interna, estetica a parte, può incontrare difficoltà nel contenere i costi, specie nella distribuzione. Non è un caso che oggi trovare una maglietta del Napoli fuori dal territorio di appartenenza è difficile, quasi come sperare in una Juventus-Napoli senza polemiche. Non parliamo dell’estero dove è più facile trovare la maglietta della Roma o dirottarsi sul mercato parallelo. Si era iniziata una collaborazione con un colosso come Amazon, perché si è interrotta?

Sconti e convenzioni potrebbero essere pensati per gli abbonati. Sono di grande impatto visivo ed emozionale gli stadi gremiti dai tifosi che indossano la maglia della loro squadra (vedi l’onda gialla nella finale dell’ultima Uefa Europa League). Uno stadio tutto azzurro sarebbe meraviglioso.

Tifosi, una passione da coltivare

Il Napoli non avrà mai vinto un CENSURA (affermazione presidenziale) ma la passione del tifo azzurro è una fiamma che arde da oltre novant’anni, e non solo in Itala. Purtroppo la Società appare un po’ freddina nel rapporto con i suoi tifosi, in particolare con i club organizzati.

Il sito ufficiale dovrebbe avere due sezioni dedicate ai club storici, una per quelli italiani e una per quelli esteri. Dovrebbe dar vita ad numerose iniziative per rafforzare il legame con la squadra e i loro beniamini. Se la memoria non mi inganna, negli ultimi anni ricordo un solo allenamento a porte aperte al San Paolo (avvenuto subito dopo il celebre ammutinamento) e poi nulla più. Pensando in grande si potrebbe organizzare anche una convention annuale stile Comi-Con di San Diego per far incontrare i tifosi azzurri provenienti da tutta l’Italia (e non solo).

Il presidente De Laurentis sembra molto attento alle politiche sociali, perché non istituisce delle borse di studio per gli studenti più meritevoli delle scuole napoletane? Una parte della borsa consisterebbe in una somma da spendere per l’istruzione e l’altra in due abbonamenti per lo stadio, magari anche una visita al centro sportivo di Castel Volturno.

Un’immagine (e comunicazione) da rafforzare

La Società Sportiva Calcio Napoli, per volere del suo presidente, Aurelio De Laurentis (e dell’amministratore Chiavelli), preferisce detenere i diritti d’immagine dei suoi tesserati. Una scelta aziendale in controtendenza rispetto ai grandi club europei. Purtroppo, a leggere i bilanci societari degli ultimi dieci anni, la quota di fatturato proveniente dai diritti d’immagine è esigua, perché? Come è noto la FilmAuro è una società di produzione e distribuzione cinematografica, mezzi e conoscenze non dovrebbero mancare.

È tempo di valorizzare al massimo i propri tesserati (non solo economicamente) con una narrazione moderna, efficace ed elegante  Magari istituendo un gruppo marketing appositamente dedicato a questa voce. Nell’attesa, si potrebbe iniziare con non offendere i propri tesserati nel corso della loro esperienza in azzurro o dopo la loro partenza (l’elenco dei “caduti” è lungo). Sergio Ramos ha salutato il Real Madrid con una commovente conferenza stampa, Marek Hamisk, dopo 12 stagioni trascorse in maglia azzurra, ha lasciato Napoli nell’assoluto silenzio (collaudata abitudine societaria). Si poteva e doveva fare meglio.

Se il Napoli ha 83 milioni di simpatizzanti sparsi nel mondo (fonte presidenziale) perché i canali social registrano numeri così bassi? Va creato uno staff apposito che riempia di contenuti giornalieri e nuove rubriche i social network ufficiali (e non si limiti agli highlight o all’angolo dell’accadde ieri). Non ultimo, andrebbe sotterrata l’ascia di guerra e istaurato un rapporto più sereno con la stampa in generale.

Nella Società dello spettacolo

Uno dei ricordi più belli legati al primo storico scudetto è la festa negli studi Rai con una parata di artisti incredibili. Un momento memorabile impreziosito dall’intervista di Gianni Minà al compianto Massimo Troisi. Un gioiello di intelligenza e umorismo. Alcuni di quei tifosi eccellenti, purtroppo, oggi non sono più tra di noi.

Fortunatamente, la vena artistica sotto l’ombra del Vesuvio non conosce crisi, una nuova generazione di talenti Azzurri mantiene viva la tradizione. Ma anche sotto questo aspetto la Società sembra disattenta. Perché? Il vecchio Great Western Forum di Inglewood prima e il nuovo Staples Center ora, le case dei Los Angeles Lakers, sono celebri anche per la presenza di numerosi vip (oltre che per le imprese dei Lakers). Perché non trasformare il San Paolo nel salotto delle star del calcio italiano? Il Presidente ha contatti e conoscenze nel mondo del cinema e per ogni partita interna potrebbe invitare almeno due tifosi eccellenti ed un ospite non napoletano (chiaramente costruendoci attorno una letteratura che non sia “gli sputi a Martina”).

Magari prima ripassi un po’ di storia del cinema. Ugo Pirro non ha mai vinto un Oscar (l’Oscar come migliore sceneggiatura originale l’ha vinto Pietro Germi nel 1963 per Divorzio all’italiana), e Federico Fellini non è stato il primo regista italiano a vincere un Academy Award (Vittorio De Sica l’ha preceduto con Sciuscià e Ladri di biciclette).

Creatori di sogni

Per oggi mi fermerei qui. Il lavoro si paga, diceva mia nonna, e le idee sono un bene prezioso. Queste sono in regalo (ma non come i regali dei procuratori che agli amici elargiscono 20.000/30.000 euro in contanti, ignorando le norme bancarie valide per noi comuni mortali). D’altronde, i tempi sono cambiati. Anche nel calcio.

In Mank, pellicola del regista David Fincher,  Louis B. Mayer (interpretato da Arliss Howard) ricorda a Joseph L. Mankiewicz, fratello del protagonista, lo sceneggiatore Herman, che il cinema è un’attività dove l’acquirente con i suoi soldi non ottiene altro che un ricordo. Perché alla fine quello che compra appartiene ancora a chi l’ha venduto. È questa la magia del cinema. Anni fa, nel passaggio industriale, il calcio ha abbandonato la strada delle emozioni per scegliere quella del denaro (autostrade di denaro e montagne debiti).

Non so quale strada intraprenderà la Società Sportiva Calcio Napoli targata De Laurentis, ma se sceglierà la seconda lo faccia partendo dalle idee. Quelle buone funzionano sempre.

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