A Napoli, il 6 dicembre 1959, venne inaugurato lo stadio del Sole. Il vecchio impianto, il Collana al Vomero, ormai era del tutto insufficiente a contenere la straripante passione del popolo napoletano.

La nuova arena sportiva fu progettata dall’architetto razionalista Carlo Cocchia che nel 1948 aveva vinto il concorso nazionale per la ricostruzione del vecchio Ascarelli. Il professore, coadiuvato dal suo staff, ideò uno stadio bellissimo, a pianta ellittica, dal forte richiamo sudamericano. Due anelli (il primo interrato) con spalti in marmo travertino e finiture a vista del cemento armato. Al posto dei soliti pilastri verticali e squadrati a sostegno delle gradinate per gli spettatori, Cocchia pensò ad un pilastro a sezione variabile (ripetuto 56 volte).

Allo slancio dei grandi setti portanti facevano da contraltare le armoniche rampe delle scale di accesso (che richiamavano la tradizione napoletana degli scaloni aperti). Soluzioni architettoniche che conferivano all’impianto una straordinaria eleganza e leggerezza (insolita per uno stadio di calcio).

La partita inaugurale vide il Napoli affrontare, alla decima giornata, la Juventus di Omar Sivori (prima in classifica con otto vittorie e una sola sconfitta). 2 a 1 il risultato finale in favore degli azzurri (di Vitali eO lione Vinicio le marcature per i padroni di casa, per la Juventus segnò Cervato all’89’ su rigore).

Mio padre, giovanissimo, era presente sugli spalti. Quando si accomodò sui gradoni del nuovo impianto, da buon (futuro) ingegnere pensò alla difficoltà di riempire uno stadio così imponente (con 85.012 posti era il più capiente d’Italia). Si riempì, circa settantamila gli spettatori presenti. E, ripetutamente, continuò a riempirsi negli anni a venire, a volte anche oltre la capienza consentita. Chi ha qualche anno sulle spalle, ricorderà che i bambini sotto il metro di altezza potevano entrare gratis, se accompagnati da un adulto.

Una passione da scudetto

Credo che l’espressione dodicesimo uomo in campo sia la più abusata e retorica che accompagna il mondo del calcio. A volte, spiace dirlo, la si usa a sproposito. Nel caso del San Paolo, ribattezzato così nel 1963 in onore del santo Paolo di Tarso, lo è per difetto, perché per circa trent’anni i tifosi azzurri sono stati il quattordicesimo uomo in campo.

Dal campionato 1965-66 alla stagione 1987-88, l’impianto di fuorigrotta ha fatto registrare il record degli spettatori in 22 stagioni su 23! Solo nel campionato 1970-71 il primato andò a San Siro sponda Milan. Ventitre stagioni durante le quali il Napoli ha raccolto un solo scudetto, quello storico del 10 maggio 1987.

Troppo poco rispetto alla calorosa (e costante) passione del popolo napoletano che affollava le gradinate del San Paolo, e non solo in occasione delle partite di cartello (all’epoca al di là del risultato non era uno stucchevole striscione). Basti pensare che in ben undici stagioni il Napoli superò la soglia del milione di spettatori paganti.

E il campionato era a 16 squadre! A tutt’oggi, lo stadio San Paolo detiene una serie di primati ineguagliati che meriterebbero un articolo a parte. Insomma, per trent’anni gli azzurri, al San Paolo, hanno giocato supportati da un tifo e una passione che in Italia non aveva eguali. E non solo per i numeri da record.

Italia ’90… una ristrutturazione funesta

Con l’arrivo di Diego Armando Maradona, e il Napoli stabilmente ai primi posti della classifica, il San Paolo sembrò addirittura insufficiente a contenere l’onda azzurra (per cinque stagioni consecutive si superò il milione di spettatori).

In città si accese il dibattito per trovare una soluzione alla crescente richiesta di biglietti. Due le proposte principali: quella capeggiata dall’ingegner Corrado Ferliano, presidente del Napoli, che spingeva per la costruzione di un nuovo impianto (da oltre centomila spettatori), e quella che proponeva di ampliare il San Paolo.

Come è noto, non prevalse nessuna delle due, perché con l’assegnazione all’Italia dei Mondiali di calcio del 1990, si decise di ristrutturare l’impianto di Fuorigrotta. Tra ritardi, opere non realizzate, altre mai completate (come il parcheggio sotterraneo) e soluzioni discutibili, il risultato fu un impianto poco funzionale e totalmente stravolto (e deturpato) nelle sue eleganti linee architettoniche.

E proprio dalla stagione 1988-89 il San Paolo ha perso il suo primato di presenze in Italia (mai più recuperato). Complice, prima di tutto, la notevole riduzione della capienza per l’adeguamento alle normative internazionali. Si passò da 85.012 spettatori a 73.640, poi ridotti ulteriormente a 72.810, successivamente a 63.645 e, infine, a 60.240.

Sulle scelte infelici adottate per la ristrutturazione del San Paolo in occasione dei Mondiali del 1990, e la successiva cattiva manutenzione dell’impianto, si è detto molto (forse non tutto), di sicuro fu un punto di svolta cruciale per il club Azzurro e i suoi tifosi. Purtroppo, fortemente negativo. Dal 1.046.812 spettatori della stagione 1988-89 (nella quale il Napoli si classificò secondo alle spalle dell’Internazionale), si scese a 638.931 della drammatica, sportivamente parlando, stagione 1997-98, culminata con un’umiliante retrocessione.

Gli anni bui… verso il fallimento

I sei anni successivi, probabilmente, sono stati i più negativi della storia del calcio Napoli. Tra cambi di proprietà, non sempre cristalline, e incertezze finanziarie, anche lo storico impianto di Fuorigrotta è stato tristemente abbandonato a se stesso. Purtroppo la perdita di spettatori non si è arrestata.

Per onore di cronaca, è doveroso ricordare che in quattro delle cinque stagioni disputate in B, il Napoli ha fatto registrare il primato degli spettatori nella serie cadetta, ma con medie modeste (31.777 il massimo, 17.386 il minimo).

Neanche in occasione del fugace ritorno in serie A (2000-2001), il popolo napoletano ha risposto con il calore storico (621.512 presenze, equivalenti a 38-mila spettatori di media a partita). Il mito del San Paolo si era appannato ormai da tempo, ma in pochi se ne accorsero. Anzi, per anni si è preferito raccontare la favola degli ottantamila e del calore del tifo azzurro, mentre si navigava verso un doloroso fallimento. Questa volta non solo sportivo…